Ciao amici! Dopo qualche mese di assenza eccomi di nuovo qui; ultimamente ho dovuto fare un po' di cose nuove, che mi hanno richiesto parecchio impegno e che mi hanno portata ad allontanarmi da questo blog.
Ho impiegato un po’ di tempo prima di scrivere questo articolo e più volte mi sono chiesta se era il caso di pubblicarlo o meno. Studiare e lavorare per uno dei sistemi più capitalisti del pianeta e scrivere queste parole può essere visto come incoerente, però come sapete già l'obiettivo di Dialoghi di Stile è quello di informarvi in maniera chiara sul mondo della moda e dei suoi affini, in modo da aiutarvi a sviluppare uno stile di pensiero che va oltre quello legato alla vostra immagine.
In questo articolo voglio analizzare come la moda capitalistica influisce sulle nostre vite, dalle passerelle ai nostri guardaroba, fino ad influenzare l'affermazione della nostra identità.
COSA SI INTENDE PER CAPITALISMO?
Nei libri di diritto ed economia che tanto mi piacevano quando andavo al Liceo il capitalismo è descritto come "un sistema economico e sociale basato sulla privatizzazione dei mezzi di produzione, posseduti da imprese e/o privati cittadini, il cui obiettivo è quello di generare sempre più profitto", servendosi spesso del lavoro subordinato, per la produzione di beni e servizi.
Un profitto che a partire dagli anni '90 è stato ottenuto in maniera sempre più “FAST” possibile, con l'obiettivo di aumentare velocemente la quantità da produrre.
Nel sistema moda, uno dei maggiori fenomeni conseguiti al sistema capitalista della Terza Rivoluzione Industriale è il “Fast Fashion”, termine dal quale veniamo bombardati dai tempi della pandemia e con il quale ci riferiamo a quelle grandi catene di distribuzione come Zara, Shein, H&M e Primark, che si rivolgono ad un target medio -basso proponendo una vasta quantità di capi ed oggetti a prezzo basso.
Questi brand low-cost stanno vivendo da una serie di anni un particolare successo, grazie ai prezzi contenuti e ad i capi realizzati con design ispirati - se non addirittura copiati - da quelli visti nelle ultime passerelle delle maison di lusso.
Altro elemento chiave del loro successo è quello di ricorrere all’appalto di terzi per alcune fasi produttive, cosa che permette di velocizzare i tempi e risparmiare moneta, cosa che però comporta la “perdita di controllo” di alcune importanti fasi produttive.
Sull'industria del fast fashion se ne sono dette di ogni ultimamente: la vita sempre più breve di questi capi di abbigliamento, fatti prevalentemente con fibre sintetiche molto scadenti (ricordatevi che il sintetico esiste dagli anni '30, non tutto è uguale, ed è usato anche dai grandi marchi) oltre che con manodopera poco curata, conseguenza del fenomeno della delocalizzazione, che ha portato allo spostamento di molti processi produttivi nelle fabbriche dei paesi dell’Est e dell’Oriente, dove la manodopera ha un costo minore, composta da operai che vivono in condizioni precarie di lavoro.
IL FAST FASHION DELL'ALTA MODA
Tornando a parlare di brand, il sistema del fast fashion coinvolge anche i marchi più importanti del panorama mondiale. Le maison di lusso propongono almeno due grandi collezioni l’anno di pret à-porter, 2 di Haute Couture, la collezione resort/cruise e varie capsule, magari in collaborazione con qualche altro brand o per qualche occasione speciale. Ciò comporta una produzione ed una presenza sul mercato sempre più efferata.
Durante il periodo della pandemia si era detto da parte di alcuni della moda, tra cui Giorgio Armani, che la moda dovesse rallentare, le collezioni esser fatte da meno capi e che il fashion system dovesse "tornare ad essere umano"; parole ormai dimenticate da tutti e che ad oggi risuonano come ipocrite da parte di chi produce 3/4 linee a stagione.
Tutti sono pervasi dalla foga di produrre, velocizzare, proporre, essere competitivi ed al passo con il mercato oltre che dall'essere bramati da un consumatore sempre più esigente.
COSA E' LA FILOSOFIA DEL FAST FASHION?
"Ormai c'è solo roba scarsa!" è una frase che dice spessissimo mia madre.
L'abbandono della qualità e della cura sartoriale che da sempre contraddistinguevano il Made in Italy, anche dei piccoli e poco famosi brand, oltre all'aumento esponenziale dei prezzi da parte di chi continua a procurarsi materie prime di buona qualità sempre più gonfiate dall'inflazione in corso, ma che sceglie di delocalizzare alcune fasi produttive del capo, sta rendendo il grande mercato di moda e abbigliamento sempre più blando e poco affidabile, oltre che esclusivo da parte dei grandi brand, che hanno fatto dell'ipocrita parola inclusività solo una strategia di marketing.
Tutto questo rientra nella filosofia del fast fashion.
Vien spesso da domandarsi come i consumatori possano scegliere e fidarsi nell'acquistare un capo costoso, di cui alcune fasi produttive sono dubbie, o perché debbano spendere modiche cifre per un singolo jeans Levi's se i materiali dal quale è composto non garantiscono più qualità e durata, se un prodotto molto simile lo possono trovare ad un prezzo decisamente minore.
Forse proviene proprio da qui la vittoria del fast fashion, la cui "gara" non avviene contro la maison di lusso, che anzi alimentano piacevolmente questo sistema, ma contro le piccole imprese del Made in Italy, i brand emergenti e quei brand poco conosciuti ma che in passato presentavano sul mercato prodotti di ottima qualità.
Sicuramente avete già letto tanti post e articoli che fanno luce su questi lati oscuri del fast fashion, ma c’è un argomento di cui, a parer mio, si parla troppo poco: Cosa accade quando questi articoli raggiungono i negozi?
COME CONTINUA LA CULTURA DEL CAPITALISMO E DEL FAST FASHION
C'è un sistema sempre più tossico che spinge ogni essere umano dirigente o dipendente che sia, a fare sempre di più, a spingersi oltre, in nome di un profitto da ottenere in maniera sempre più veloce, in nome di un guadagno che molto spesso non corrisponde al proprio operato.
Persone che agiscono come macchine, stanche, che vivono le loro vite private con gli stessi ritmi lavorativi, senza badare al valore delle cose, dando per scontato quest'ultimo.
IL FAST FASHION E' OVUNQUE
Possiamo quindi ritenere che con fast fashion possiamo non solo identificare determinati brand ma un vero e proprio metodo, una filosofia che sta coinvolgendo sempre più le nostre vite.
La “fast fashion” era stata considerata un processo di democratizzazione della moda, un fenomeno economico che ha permesso di vestirsi seguendo le ultime tendenze e soprattutto di procurarsi abbondanza di vestiti a poco prezzo. Ma l'abbondanza è quella cosa che rischia di farci perdere nella confusione.
Come può il consumatore fast rallentare il suo consumo se le maison continuano ancora a proporre 130 uscite a sfilata anziché 30? E' tutta una reazione a catena incessante.
Oltre al puro consumo, la moda capitalistica tocca corde profonde dell'identità personale e collettiva. Attraverso l'abbigliamento, gli individui esprimono se stessi, le loro affiliazioni sociali e le loro aspirazioni.
Vien quindi da domandarsi: in questo consumismo sempre più costante che fine ha fatto la nostra identità? Lo sapete ormai da tempo, nei miei articoli parlo spesso di identità stilistica e linguaggio personale della moda.
Cosa ci piace davvero e ci fa sentire a nostro agio indossandolo? Perché sentiamo l'esigenza di comprare sempre vestiti nuovi e di sfoggiare nuovi look all'appuntamento settimanale nel locale In della zona? Perché sempre più gente compra ancora da Shein cui la qualità è più scadente del cinese sotto casa.
E perché sentiamo l'impulso di buttare un capo o rilegarlo in fondo all'armadio dopo una sola stagione?
Questa cultura alimenta un ciclo di acquisto impulsivo, dove il valore percepito di un capo viene determinato più dalla sua novità che dalla sua qualità o funzionalità nel tempo, o dal modo in cui ci fa sentire indossandolo. La gratificazione istantanea è diventata l'obiettivo ultimo, facendo della moda un gioco di status e desideri da soddisfare che non giovano più di tanto allo sviluppo di un'identità stilistica personale, portando invece a ritrovarsi nella confusione oltre che in un gioco di massa che ci vuole tutti omologati, a volere cose nuove, perdendo punti di riferimento e uno stile che ci rispecchia.
Un capo è la nostra seconda pelle, saper scegliere con cura quelli che andranno a costituire il nostro armadio senza farci soggiogare dall'impulso al consumo dovrebbe essere uno dei nostri obiettivi primari al fine di non svendere la nostra personalità in nome di una frenesia frustrante e costruire invece il nostro stile attraverso la moda.
Non ti sconsiglio di comprare roba fast fashion, dato che, come abbiamo potuto constatare, tutto e tutti adottano le caratteristiche del fast fashion; e poi parliamoci chiaro se guadagni 1.000 euro al mese non pensi di certo a spenderne 500 per una singola camicia.
Sai quanti vestiti ed accessori acquisti al mese o in una stagione? Li usi ancora dopo anni o li butti via dopo solo uno?
Hai mai pensato di comprare capi di seconda mano e di regalare/vendere quelli che non usi più?
Hai domande particolari su uno dei punti trattati in questo articolo? Ti aspetto nei commenti!
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